Il nuovo ospite della rubrica dedicata ai giocatori che hanno fatto la storia dell’UnipolSai Fortitudo baseball è Claudio Liverziani. Nato a Novara, cresce sportivamente parlando nel Porta Mortara fino ad esordire, a soli 16 anni, nel massimo campionato italiano con la divisa del Novara Baseball. Dopo 4 stagioni con la casacca della propria città natale si trasferisce alla Juve ’98 prima di approdare, a 21 anni, negli Stati Uniti. Oltreoceano gioca per 2 stagioni con i Wisconsin Timber Rattlers (Singolo A dei Seattle Mariners), prima di tornare in Italia con la casacca del Rimini Baseball. Con i Pirati vince 2 scudetti ed 1 Coppa Italia prima di approdare sotto le 2 Torri nel 2002. Nelle 13 stagioni in biancoblu vince tutto quello che è possibile, mettendo in bacheca 5 scudetti, 5 Coppa Italia e 2 European Champions Cup. Nel 2016, dopo lo scudetto fortitudino, decide di appendere il guantone al chiodo. Nel 2019, infine, entra a far parte dello staff tecnico fortitudino con cui vince 2 scudetti (2019/2020) ed 1 Coppa Campioni (2019). 

Come è cambiato il baseball italiano dal lontano 1991, anno del suo esordio nella massima serie italiana, ad oggi?

Ad inizio anni 90, il campionato aveva una connotazione ancora molto “italiana” e questo è durato fino al 1997, con l’avvento dei primi giocatori con doppio passaporto. Questo cambiamento ha portato sicuramente ad un aumento del livello di gioco, soprattutto dal punto di vista dei lanciatori. Oggi, fra le squadre di prima fascia, il livello di gioco è molto alto, sia dal punto di vista offensivo che difensivo.

Dopo 6 anni in serie A1 ha tentato l’esperienza americana. Cosa ci puoi raccontare di quell’avventura? Come mai si è conclusa dopo appena 2 stagioni?

L’avventura americana è qualcosa che auguro a tutti i giovani giocatori di oggi, in quel frangente hai veramente la possibilità di imparare ogni aspetto del gioco, da un punto di vista professionale, oltre ad essere un percorso formativo umano e caratteriale. Il livello di competizione è molto alto, ci sono centinaia e centinaia di giocatori che sono sullo stesso livello di gioco. Per emergere parlano i numeri e nel mio caso sono stati mediocri per due anni di fila, motivo per il quale sono stato “tagliato”.

Terminata l’esperienza oltreoceano sei tornato in Italia con la casacca del Rimini. Dopo 2 stagioni in riviera sei giunto a Bologna. Cosa ti ha spinto ad accettare la proposta della Fortitudo?

Rimini è stato forse il miglior posto dove potessi capitare per “smaltire” la delusione del taglio. La squadra era fortissima e l’ambiente incredibile ed adrenalinico.

Bologna è stata una scelta dettata dall’obiettivo di iniziare a costruire qualcosa oltre il baseball. La serietà, professionalità e passione della Fortitudo mi hanno impressionato da subito e devo dire che da allora questi valori sono ancora evidenti, soprattutto in persone come Luciano Folletti, cuore pulsante Fortitudo, al quale sono e sarò sempre riconoscente.

Dal tuo arrivo sotto le 2 Torri hai disputato ben 13 stagioni in bianco blu con 12 trofei messi in bacheca. Quali sono stati i momenti migliori e quali i peggiori nella tua esperienza bolognese?

Vivere con la Fortitudo il ritorno allo scudetto del 2003 è stato indimenticabile. Mi ricordo l’aspettativa, la voglia di tutte le persone dell’ambiente a ritornare protagonisti. Sono momenti di sport che vanno al di là della semplice vittoria o sconfitta, c’è molto di più in gioco, sacrifici, amicizie, progetti nati anni prima. In quel momento forse la Bologna del Baseball ha capito di essere diventata Grande e sono orgoglioso di essere stato presente.

Momenti bui ce ne sono stati purtroppo e non solo sportivi, mi riferisco all’anno 2006 in cui persi sia mio papà improvvisamente, sia un grande amico di tutti noi, Robert. A livello sportivo i due anni di squalifica sono stati pesanti, ma ormai è acqua passata.

Con la maglia della Fortitudo hai avuto la possibilità di giocare con tanti atleti importanti. Con quali hai legato maggiormente? 

Mi sento legato da rapporti di amicizia e stima con tanti giocatori che hanno vestito la casacca Fortitudo. Le amicizie più profonde, che partono da lontano, sono con Lele Frignani, Fabio Betto e David Rigoli, persone molto importanti per me dentro e fuori dal campo.

Nel 2016 hai appeso il guanto al chiodo, dopo la vittoria dello scudetto, e nel 2019 sei entrato a far parte dello staff tecnico fortitudino bagnato subito con il titolo italiano. Com’è stato il passaggio da giocatore ad allenatore?

Il passaggio a livello umano è stato semplice, sono solo una pedina a disposizione di Frignani e mi occupo di un solo reparto, ciò’ mi dà tempo per provare ad instaurare coi giocatori un rapporto basato sulla fiducia, basilare per poter lavorare efficacemente.  A livello tecnico invece c’è tanto da imparare ed è un processo che non finirà mai. Non basta aver giocato, non conta quello che hai fatto in passato. Allenare è un privilegio ed una grande responsabilità. L’unica cosa che conta è il giocatore che hai davanti in quel momento, il suo percorso, ed i suoi personali obiettivi. Sono loro, i giocatori, che fanno la fortuna dell’allenatore.

Manda un saluto ai tifosi della squadra

Sempre doveroso ringraziare i nostri appassionati tifosi, che ci seguono ovunque in Italia ed a volte anche in giro per l’Europa! Non esiste in Italia un ambiente come quello del FALCHI, GRAZIE per il vostro supporto incondizionato.

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